IL FASCINO DEL MALE
Il fascino che esercita la figura del serial Killer è un fenomeno misterioso ma certamente innegabile, basti pensare alla proliferazione di serie televisive basate su questi personaggi perversi o di documentari che trattano le storie dei grandi serial killer del passato.
Ma cosa ci spinge ad essere attratti da queste figure?
Secondo uno dei padri della psicoanalisi, Carl Jung, la motivazione andava ricercata negli archetipi primordiali esistenti nel profondo del subconscio di ciascuno di noi.
Passando dal punto di vista psicologico a quello empirico, possiamo ricordare la teoria aristotelica della catarsi, secondo la quale gli spettatori, durante gli spettacoli della Atene classica, entravano in empatia con i personaggi tragici, e ciò gli consentiva di immedesimarsi in essi per liberarsi dalla rabbia repressa e purificarsi l’animo.
In tempi e secondo studi più recenti, uno dei fattori che ci spinge ad essere attratti dai serial killer è la curiosità che ci porta a cercare le spiegazioni ad un determinato agire, pur se mostruoso o irrazionale, in quanto ci consente di averne il controllo e perciò emotivamente ridurne il senso di paura.
A ciò si aggiunga, che nel sentire le storie “di mostri psicopatici” ci sentiamo sicuramente lontani da quell’agire e perciò immuni da quei pensieri considerati inaccettabili.
Tuttavia, secondo il noto psichiatra forense Robert I. Simon il confine, che trattiene le persone buone dal mettere in atto i loro pensieri o impulsi cattivi, è veramente fragile e ne dà una precisa descrizione in alcuni capitoli del testo “I buoni lo sognano i cattivi lo fanno”. Secondo l’autore, il male è dentro ogni essere umano, la differenza fondamentale è che i buoni si limitano a fantasticare le cose, le violenze, invece, i cattivi mettono in atto quei pensieri.
Condividendo il pensiero di Rober Simon, rivolgo a voi lettori la seguente domanda:
“chi almeno una volta nella vita, spinto da un moto di rabbia, nei confronti di un vicino molesto o da un automobilista particolarmente fastidioso, non ha pensato di volergli usare cruda violenza?”
Molto probabilmente qualcuno risponderà (forse per paura dei suoi stessi pensieri) di no, ma sicuramente non dice la verità!
IL SERIAL KILLER
Analizziamo ora cosa si intende con il termine serial Killer o omicidi seriali.
Il senso comune del termine ci fa pensare semplicemente ad un soggetto che ha ucciso più persone in uno stesso momento o in momenti successivi, ma dal punto di vista criminologico non è una definizione corretta.
Questo termine venne usato per la prima volta dall’FBI, negli anni ottanta, che definì serial Killer “ un soggetto che uccide più persone, generalmente più di due, in tempi e luoghi diversi, senza che il movente sia immediatamente chiaro, anche se lo sfondo sessuale del delitto è quasi sempre riconoscibile”.
La definizione di omicidio seriale non è unanime e cambia in base ai parametri di riferimento.
Tuttavia, tra le definizioni date dai diversi studiosi in materia forense, si riscontrano diversi elementi di sovrapponibilità quali: la mancanza di un movente razionale, mancanza di connessioni tra assassino e vittima, gli omicidi sarebbe ripetuti ad intervalli di tempo e l’assassino potrebbe proseguire fino a quando non viene catturato o muore.
Nonostante il termine sia di recente conazione, il fenomeno è risalente nel tempo: gli assassini seriali ci sono sempre stati ma non venivano riconosciuti e definiti come tali.
Uno dei primi casi documentati è quello di un maresciallo francese di nome Gilles De Rais che tra il 1432 e il 1440 uccise circa ottocento bambini con violenze atroci per il compimento di atti di magia nera.
Nell’ Ottocento, poi, vi furono diversi casi accertati e divenuti a noi noti come Jack “lo squartatore” e nell’ambito italiano Vincenzo Verzeni detto “il vampiro della Bergamasca” per il suo modus operandi: dopo aver strangolato le vittime ne mordeva il collo e ne asportava gli organi interni .
Quest’ultimo fu periziato da Cesare Lombroso che, pur non dichiarandolo infermo di mente, lo definì:” un sadico sessuale, vampiro, divoratore di carne umana…”
LEONARDA CIANCIULLI
Proseguendo fino agli inizi del Novecento una delle serial Killer più famose fu Leonarda Cianciulli nota come “la saponificatrice di Correggio”. Questa figura a mio avviso merita un approfondimento in quanto la genesi dei suoi omicidi non ha elementi sessuali o sadici.
La storia della Cianciulli inizia a Montella, un piccolo paese in Irpinia, dove nacque nel 1894.
A ventitrè anni sposa Raffaele Pansardi, un impiegato del catasto, in contrasto con la madre che voleva darla in moglie ad un cugino.
Secondo il memoriale della Cianciulli, dal titolo Confessioni di un’anima amareggiata, la vigilia delle nozze la madre l’avrebbe maledetta augurandole una vita di sofferenze.
La predizione, secondo la stessa, fu veritiera poiché le sue prime 13 gravidanze finiscono con 3 aborti spontanei e 10 bambini morti in culla e solo in seguito all’ intervento di una maga locale riuscirà ad avere quattro figli.
Nel 1930, all’età di 36 anni, fu costretta, insieme al marito e ai figli, a trasferirsi al nord, a Correggio, dopo che un terremoto aveva raso al suolo la loro casa. Poco dopo, lasciata dal marito si ritroverà ad occuparsi dei suoi quattro figli da sola. Riesce a rifarsi una vita con il commercio casalingo e con l’attività di maga, essendo una donna molto carismatica, da molti veniva descritta come una donna scaltra, e per di più, di facili costumi.
Apparentemente si era costruita la facciata di una donna lavoratrice ed a modo ma tra il 1939 e il 1940 la donna maturò il suo piano criminale uccidendo tre donne, non più giovani e sole.
Erano donne che spesso ospitava in casa e di cui aveva conquistato la fiducia con lusinghe, ma soprattutto promettendole una vita migliore lontano da lì.
A quel punto mise in atto il suo piano, non prima di essersi fatta rilasciare la procura a vendere tutti i loro beni e intascarsi i soldi, uccidendole a colpi di ascia per poi saponificare i loro corpi e farne dolcetti o saponette che diede in omaggio ai suoi conoscenti!
Dopo l’arresto, avvenuto nel novembre del 1940, a seguito delle insistenze di una parente dell’ultima vittima per far luce sulla quella sparizione, la Cianciulli fu sottoposta a perizia psichiatrica da parte di un medico, noto all’epoca, il professore Filippo Saporito che la giudicò inferma di mente.
La Corte di Appello di Bologna, tuttavia, ritenne che lo studioso era stato stregato dall’imputata e venne dichiarata solo seminferma di mente e condannata per i 3 omicidi. Prima della galera fu affidata alle cure mediche e venne condotta in manicomio da dove di fatto non usci più, dove vi morì nel 1970.
IL PROFILING DI LEONARDA CIANCIULLI
Ma cosa era scattato nella mente di Leonarda Cianciulli? Quale era stato il movente?
E’stato possibile ricostruire il suo profilo criminologico grazie al suo memoriale e alle sue tante lettere.
Fin da ragazzina aveva vissuto in un mondo fatto di ignoranza e di credenze popolari basate sui presagi di maghe e fattucchiere, tutto ciò avrebbe suggestionato la sua mente da bambina, fino a condizionarle la visione delle realtà e conseguentemente la personalità.
Una maledizione su tutte l’avrebbe condizionata poi da adulta, quella di una zingara e della madre, da cui era stata sempre rifiutata, secondo la quale avrebbe avuto tanti figli che avrebbe visto morire.
E’ ben comprensibile come la stessa, la cui visione della realtà era assolutamente distorta, non fosse in grado di distinguere più cosa era male da cora era bene.
Quindi, nel momento in cui i suoi due figli maschi più grandi, e soprattutto il suo preferito Giuseppe, vengono chiamati al fronte, in lei scatta la paura di vederseli strappare alla vita, ed ancora una volta vedere avverarsi la profezia, da qui si stacca completamente dalla realtà.
A suo dire, le era apparsa una Madonna nera che le aveva chiesto in cambio della vita dei figli dei sacrifici di vittime innocenti; così attuò il suo crudele piano criminale.
CONCLUSIONI
A mio avviso, inoltre, Leonarda Cianciulli durante l’infanzia ha sofferto di un attaccamento insicuro ambivalente, a causa dell’imprevedibilità della figura materna, che la privava di affetto e la faceva sentire non voluta, rifiutata.
Ciò le ha creato dei forti problemi relazionali con i suoi quattro figli sopravvissuti, con cui ha instaurato un rapporto ossessivo, tanto da farle passare quel confine labile fra il bene ed il male. La stessa dichiara, nel suo memoriale, che non temette di sporcarsi le mani per difendere i suoi figli: “Non ho ucciso per odio o per avidità, ma solo per amore di madre”.
A questo punto, vi invito ad una semplice riflessione, Leonarda Cianciulli è stata un mostro o semplicemente una bambina che in seguito ad un forte trauma si è rifugiata in una propria realtà, sicuramente distorta e malata, ma l’unica in grado di farla sfuggire al proprio dolore?
di Teresa INZERILLO
Commenti