INCIPIT
Riecheggiano tra le stanze spoglie, tra le finestre con le grate ed i muri scrostati dell’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Aversa, i racconti di chi c’era e di chi ha visto.
Narrazioni avvolte nel mistero, quasi leggende tramandate oralmente dai sentito dire e dalle testimonianze, neanche tanto attendibili, degli ospiti di questo “quasi carcere”.Ho avuto la fortuna di visitarlo, in gita con la cattedra di Criminologia del compianto Prof. Franco Saponaro, ai tempi dell’Università.
Il Manicomio Criminale di Aversa ha ospitato numerosi personaggi, famosi o meglio famigerati, per la loro biografia ed i loro misfatti.
Tra i celebri serial killer internati in questa struttura, non si può non ricordare Leonarda Cianciulli, detta “la Saponificatrice di Correggio”.
Una storia di credulità e magia, ignoranza e cupidigia, sentimenti e istinti primitivi, mortificazioni e dolore: ecco alcuni tra gli ingredienti che emersero nel corso dell’indagine che portò a scoprire i crimini di Leonarda Cianciulli.
LA VITA
Leonarda Cianciulli nacque a Montella, in provincia di Avellino nel 1892.
La sua fu un’infanzia difficile, come tante.
Si racconta che la di lei madre, solo quattordicenne, fosse stata costretta dai genitori a sposare il marito, poiché questi l’aveva rapita, violentata e messa in cinta.
Dalla successiva gravidanza indesiderata, sarebbe nata poi Leonarda.
Leonarda così descriverà la propria infanzia in un memoriale prodotto negli anni della detenzione: “Ero una bambina debole e malaticcia, soffrivo di epilessia, ma i miei mi trattavano come un peso, non avevano per me nessuna delle attenzioni che portavano agli altri figli. La mamma mi odiava, perché non aveva desiderato la mia nascita. Ero una bambina infelice e desideravo morire. Cercai due volte di impiccarmi; una volta arrivarono in tempo a salvarmi e l’altra si spezzò la fune. La mamma mi fece capire che le dispiaceva di rivedermi viva.
Una volta ingoiai due stecche del suo busto, sempre con l’intenzione di morire, e mangiai dei cocci di vetro: non accadde nulla”.
Questa la prima parte dell’infelice esistenza di Leonarda Cianciulli che, divenuta adolescente, nonostante l’aspetto tarchiato e il viso mascolino, scoprì gli uomini, traendo, come lei stessa dirà, “consolazione alla vita grigia e triste del paese”.
Uno di questi, Raffaele Pansardi, impiegato dell’ufficio del registro, lo sposò poco prima della prima guerra mondiale, e andò a vivere a Lariano, nell’Alta Irpinia.
Nel 1930, in seguito ad un fortissimo terremoto nel Vulture, la sua casa venne distrutta, cosicchè decise di trasferirsi con il marito a Correggio, in provincia di Reggio Emilia, dove, per rimediare qualche soldo, mise su un commercio di abiti usati e iniziò a svolgere l’attività di maga e cartomante per le donne del paese.
La Cianciulli ebbe diciassette gravidanze, d cui tredici morirono in tenera età.
I quattro figli sopravvissuti per lei erano un bene da difendere a qualsiasi prezzo: lei, figlia rifiutata al punto di tentare il suicidio per sfuggire alla mancanza di amore materno, avrebbe ucciso per impedire che chiunque potesse strappare gli unici beni della sua vita.
Nel 1939, Giuseppe, il primogenito, suo prediletto, che studiava lettere all’Università di Milano fu chiamato a prestare il servizio militare, con l’incombente minaccia dell’entrata dell’Italia in guerra.
Bernardo e Biagio, invece, frequentavano il ginnasio, e Norma, la più piccola, andava all’asilo.
I PRIMI TORMENTI E LA NASCITA DEL MOSTRO
La notizia che il suo figlio amatissimo dovesse partire per la leva e la paura che potesse essere chiamato come soldato in guerra, cominciarono a insinuare nella Cianciulli pensieri sempre più angosciosi e maniacali, come quello che la portava a ritenere di dover immolare delle vittime sacrificali per salvare la vita dei propri figli.
Si racconta che anni prima si fosse fatta leggere la mano da una zingara e che questa le avesse predetto: “Ti mariterai, avrai figliolanza, ma tutti i figli tuoi moriranno”, poi un’altra fattucchiera le disse: “Vedo nella tua mano destra il carcere e nella sinistra il manicomio”.
Le profezie a quanto pare si stavano avverando.
Cosi ricordava quei tragici momenti: “Non posso sopportare la perdita di un altro figlio. Quasi ogni notte sogno le piccole bare bianche di quegli altri, inghiottiti una dopo l’altra dalla terra nera”.
Ma la Cianciulli sapeva come fare per allontanare la cattiva sorte: “Per questo ho studiato magia, ho letto i libri che parlavano di chiromanzia, astronomia, scongiuri, fatture, spiritismo: volevo apprendere tutto sui sortilegi per riuscire a neutralizzarli”.
LE VITTIME
La Cianciulli frequentava tre amiche, tre donne sole e non giovani, che avrebbero volentieri cambiato vita per sfuggire alla noia e alla solitudine di Correggio.
Tutte e tre chiesero aiuto a Leonarda, la quale capì che era giunto il momento di agire.
ERMELINDA FAUSTA SETTI
La prima a cadere nella rete della donna fu Ermelinda Faustina Setti, la più anziana, che chiese a Leonarda di interrogare le carte per sapere se, nonostante l’età, avrebbe potuto ancora trovare un marito.Leonarda la convinse che le carte erano propizie, tant’è che un giorno le diede finalmente la notizia che un suo vecchio amico, ovviamente inesistente, che viveva a Pola ed era pure benestante, avrebbe accettato di prenderla in moglie.Leonarda convinse la donna a non parlare con nessuno di questo avvenimento, per non suscitare invidie, e quindi le consigliò di vendere tutto ciò che possedeva. La mattina della partenza per Pola, Ermelinda si recò a salutare l’amica. Leonarda nelle sue dichiarazioni ricorda che la Setti si era tinta i capelli per sembrare più giovane e con tono patetico dirà “Voleva sembrare una bambina”. La fa accomodare per un caffè, mentre un pentolone pieno d’acqua bolle sul fuoco. Dato che la donna era semi-analfabeta, Leonarda la aiutò a scrivere alcune lettere e cartoline per amici e parenti, che avrebbe poi spedito da Pola e nelle quali li rassicurava che tutto stava procedendo per il meglio. Ma a Pola Ermelinda Faustina Setti non giungerà mai, perché cade sotto i colpi di scure di Leonarda Cianciulli la quale le spaccò la testa, trascinò il corpo in uno stanzino e lo sezionò in nove parti, raccogliendo il sangue in un catino.Proprio lei stessa raccontò: “Gettai i pezzi nella pentola, aggiunsi sette chilogrammi di soda caustica che avevo comperato per fare il sapone, e rimescolai il tutto finché il corpo sezionato si sciolse in una poltiglia scura e vischiosa con la quale riempii alcuni secchi che vuotai in un vicino pozzo nero. Quanto al sangue del catino, aspettai che si coagulasse, lo feci seccare al forno, lo macinai e lo mescolai con farina, zucchero, cioccolato, latte e uova oltre a un poco di margarina. Feci una grande quantità di pasticcini croccanti e li servii alle signore che venivano in visita, ma ne mangiammo anche Giuseppe e io”. Qualche giorno, dopo il suo primo omicidio, la ”saponificatrice” mandò il figlio Giuseppe fino a Pola affinché imbucasse le lettere della vittima per farle giungere ai destinatari con il timbro postale giusto. Nei giorni successivi la Cianciulli vendette i beni e gli indumenti che la Setti portava con sé la mattina in cui era stata uccisa.
FRANCESCA SOAVI
La seconda vittima si chiamava Francesca Soavi, sognava anche lei di andar via da Correggio, non sperava nel matrimonio ma si sarebbe accontentata di trovare impiego, anche in un altro paese, che le consentisse di vivere dignitosamente.Leonarda le disse di averle trovato un lavoro nel collegio femminile di Piacenza.Francesca accettò con gratitudine e la mattina del 5 settembre 1940 raggiunse l’amica per salutarla prima della partenza.La Cianciulli convinse anche lei a scrivere due cartoline che avrebbe dovuto spedire da Correggio per annunciare ai conoscenti la partenza, evitando di far capire ai ficcanaso e agli invidiosi la destinazione.Posata la penna, Leonarda, come da copione, si avventò sulla donna con la sua scure e la uccise reiterando il “sacrificio”.Da questo omicidio però guadagnò solo le 3.000 lire che la Soavi aveva con sé.Per ricavare maggiori guadagni, Leonarda disse agli amici e ai parenti della vittima che era stata incaricata da Francesca stessa di vendere tutti i suoi beni e i mobili.Giuseppe, su incarico della madre, partì per Piacenza e spedì le cartoline della Soavi.
VIRGINIA CACIOPPO
La terza e ultima vittima fu un’ex-cantante lirica, cinquantatreenne, costretta a vivere in miseria e, come dirà la stessa Cianciulli “patetica nei suoi ormai consunti abiti scollati”. Il suo nome era Virginia Cacioppo e trascorreva le sue giornate a raccontare del suo brillante passato di artista, che non si era mai rassegnata di aver dovuto lasciare irrimediabilmente alle spalle. Con lo stesso metodo, e facendo leva sul suo punto debole della Cacioppo, Leonarda le propose un incarico a Firenze, come segretaria di un misterioso dirigente teatrale che, magari, avrebbe potuto reintrodurla nell’ambiente. Pregò anche questa di non farne parola con nessuno, dicendole che l’uomo era stato suo amante e che se si fosse sparsa la voce che lei lo vedeva ancora la sua famiglia l’avrebbe ripudiata.Virginia, entusiasta della proposta, mantenne il riserbo e il 30 settembre 1940 si recò da Leonarda in procinto di partire.
Di lei la Cianciulli disse: “Finì nel pentolone, come le altre due (…); la sua carne era grassa e bianca, quando fu disciolta aggiunsi un flacone di colonia e, dopo una lunga bollitura, ne vennero fuori delle saponette cremose e accettabili. Le diedi in omaggio a vicine e conoscenti.Anche i dolci furono migliori: quella donna era veramente dolce”.
LE INDAGINI, L’ARRESTO E IL PROCESSO
Fu la cognata dell’ultima vittima a insospettirsi dell’improvvisa sparizione di Virginia, che aveva visto entrare nella casa della Cianciulli prima di far perdere le sue tracce per sempre.
Decise quindi di confidare al questore di Reggio Emilia i suoi sospetti, il quale seguì le tracce di un Buono del Tesoro della Cacioppo, presentato al Banco di San Prospero dal parroco di Correggio.
Convocato dal questore, il prete disse di aver ricevuto il buono da un amico della Cianciulli, il quale dichiarò di averlo ricevuto dalla stessa per il saldo di un debito.
Le tracce condussero quindi le indagini fino a Leonarda, la quale confessò i suoi tre omicidi senza fare molta resistenza.
Gli inquirenti, però, nutrivano dubbi sul fatto che una donna di un metro e cinquanta, grossa e anziana, fosse riuscita da sola uccidere e sezionare tre cadaveri e quindi andarono alla ricerca di un complice che l’avesse aiutata a compiere i delitti.
Il sospettato numero uno era il figlio Giuseppe che al processo, celebrato nel 1946, dichiarò di aver spedito le lettere, senza però essere a conoscenza dei fatti.
La Cianciulli, intenzionata a difendere il figlio con tutte le sue forze, dichiarò agli inquirenti di essere l’unica artefice di quella mattanza e propose una dimostrazione in diretta delle sue capacità di saponificatrice.
Durante la perquisizione nella casa della donna gli inquirenti trovarono il calderone, la polvere d’ossa, il sangue essiccato, il seghetto, il martello, le scuri e la mannaia.
La follia della donna fu chiara a tutti quando, al cospetto di magistrati e avvocati, pare che dissezionò in 12 minuti il cadavere di un vagabondo e procedette con le tecniche della saponificazione: di questo evento, tuttavia, non si trova conferma nella documentazione ufficiale.
Ascoltata una sua confessione integrale, emerse un interessante punto di dibattito: mentre l’accusa sosteneva che Leonarda ha agito per pura avidità nei confronti del denaro delle sue tre vittime, lei si intestardiva a giustificare i suoi omicidi come sacrificio per la memoria di sua madre morta, la quale le sarebbe comparsa in sogno minacciandola di prendersi le vite dei suoi figli se in cambio non avesse versato sangue fresco ed innocente.
Dopo l’arresto Leonarda fu sottoposta a perizia psichiatrica da un importante medico dell’epoca, Filippo Saporito, docente all’Università di Roma e direttore del manicomio criminale di Aversa.
Saporito giudicò la donna affetta da psicosi isterica e totalmente inferma di mente.
Il Tribunale di Bologna accusò invece lo psichiatra di essersi fatto “stregare” dalla Cianciulli e ritenne la criminale pienamente imputabile.
Il 20 Giugno 1946 la Cianciulli venne ritenuta colpevole dei tre omicidi, di furto delle proprietà delle vittime e di vilipendio dei cadaveri, e perciò condannata a trent’anni di reclusione e al ricovero per almeno tre anni in un manicomio giudiziario.
Fu internata per un lungo periodo nel Manicomio Criminale di Aversa, dove scrisse le sue memorie intitolate: “Le confessioni di un’anima amareggiata”, oltre ottocento pagine in cui narrò degli omicidi e dello smembramento dei corpi, lavorò ad uncinetto e cucinò biscotti che, come raccontò una suora che l’aveva conosciuta, “nessuna detenuta si azzardava a mangiare. Credevano che contenessero qualche sostanza magica”.
Riceveva le visite regolari dei figli e, in occasione di visite di funzionari del Ministero, pretendeva di essere lei a fare il discorso di benvenuto.
Le ultime foto la ritraggono con il camice grigio col colletto bianco ed un paio di occhiali che la fanno somigliare a una vecchia maestra.
Il 15 ottobre del 1970, morì nel Manicomio Giudiziario femminile di Pozzuoli, dove stava finendo di scontare la sua pena, stroncata da apoplessia cerebrale.
Venne sepolta nel cimitero di Pozzuoli in una fossa comune: nessuno ne reclamò mai le spoglie.
IL PROFILING CRIMINOLOGICO
La figura di Leonarda Cianciulli è stata nel corso del tempo studiata approfonditamente da team di psichiatri e studiosi di criminologia, i quali hanno cercato di dare contributi interessanti e attendibili sulla personalità della prima serial killer donna del Novecento in Italia. Per far luce sulla sua mente criminale, gli esperti sono partiti dal lungo memoriale scritto dalla donna durante il periodo di internamento presso l’OPG di Aversa, insieme alla sentenza di condanna, agli interrogatori e alle tante lettere a lei attribuite. Come si è già argomentato, dopo l’arresto la Cianciulli fu sottoposta a perizia psichiatrica. Il medico giudicò la donna affetta da psicosi isterica e totalmente inferma di mente, quindi incapace di intendere e di volere. Tesi questa confutata in epoche più recenti.Secondo il dottor Augusto Balloni, neuropsichiatra e docente di Criminologia, e la dottoressa Roberta Bisi, docente di Sociologia giuridica, della devianza e del mutamento sociale, Leonarda era una donna con un carattere da leader ed un fascino in grado di controllare e assoggettare chiunque la circondasse, ridotto a mero “oggetto” da sfruttare.Dietro la facciata di donna a modo, Leonarda Cianciulli maturò il suo spietato disegno criminoso. Tutto cominciò dal terrore che la Guerra potesse strapparle via i suoi figli maschi, in particolare il primogenito a cui era legata da un rapporto maniacale e quasi incestuoso. La Cianciulli era stata fin da piccola estremamente suggestionabile: circondata da maghe e chiromanti che le avevano predetto inenarrabili sciagure, finì per maturare l’idea che avrebbe dovuto compiere sacrifici umani per salvare i suoi figli.La superstizione di cui era intrisa la sua mentalità aveva deformato la sua visione della realtà, tanto da renderla una donna amorale incapace di distinguere il bene dal male.Uccidere tre donne non le era apparso così aberrante se in gioco c’era la vita del sangue del suo sangue. Inoltre, i suoi scritti rivelano che Leonarda aveva una “doppia personalità”: parlava di sé alternativamente come Nardina (nomignolo che le aveva dato sua madre) e Norina (così la chiamava suo padre): la prima era la madre che soffriva, la seconda la madre che agiva. Nardina-Norina non temette di sporcarsi le mani, anzi, come affermato lucidamente in una intervista “La legge mi ha condannata: e che mi importa della sa condanna… 30 anni, l’ergastolo, la fucilazione.Che mi interessa a me: 17 figli… ah cari mie! se anche a voi moriranno 13 figli non solo fareste ciò che ho fatto io… una madre solo può comprendermi. La legge mai… forse la scienza mi ha compresa”. Ritennero gli esperti che la donna era affetta da:”disturbo della personalità di tipo narcisistico”, era desiderosa cioè dell’attenzione altrui causato presumibilmente dal mancante e anaffettivo rapporto materno durante gli anni della sua infanzia. Tale narcisismo patologico, la megalomania e il suo costante desiderio di sentirsi superiore agli altri, le permetteranno di presentarsi in pubblico in maniera impeccabile, non lasciando mai nulla al caso sia nell’abbigliamento che nei modi di porsi con le autorità. La personalità della donna con tendenze dai tratti sadici e paranoidi, sarà confermata anche dagli studi grafologici effettuati sulla scrittura di Leonarda Cianciulli che dimostrano i tratti di una personalità squilibrata e insofferente.
CONCLUSIONE
Ciò nonostante, ci si chiede se si possa considerare la nostra efferata serial killer davvero “incapace di intendere e di volere”, come ritenuto dal primo consulente che la peritò, o se si possa ravvisare in lei, come emerge dagli scritti, dagli atti processuali e dalle interviste, una lucida e fredda risolutezza, di certo influenzata da un passato non felice, ma assolutamente non determinante una patologia così grave da far scemare in toto la sua capacità di autodeterminazione.
Commenti